Battaglia di Lepanto

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Nel ricordo dell’Anniversario della battaglia di Lepanto .

Quel 7 ottobre che salvò l’Europa.

Europa, metà del secolo decimosesto. Il Continente, dilaniato al suo interno da guerre politiche e religiose, sembra destinato a soccombere alla crescente egemonia dell’impero ottomano che, forte della conquista di Costantinopoli, spinge ora le sue ambizioni verso Occidente nel sogno, apparentemente possibile, di sottometterlo trasformandolo in una provincia piegata alla legge di Allah. Ma nel 1566 Antonio Michele Ghislieri, frate domenicano, viene elevato al soglio pontificio con il nome di Pio V. Inquisitore inflessibile e paladino della Controriforma, il nuovo papa si fa artefice di un vero capolavoro: la Lega santa, una sorta di “patto mediterraneo” che riunisce sotto il segno della Croce tutte le potenze cristiane. Dimentiche per la prima e unica volta dei rispettivi egoismi, esse costituiscono una grande flotta multinazionale che il 7 ottobre 1571 nelle acque di Lepanto riesce ad avere la meglio sulle forze navali turche e ad arrestarne, almeno per il momento, la formidabile espansione. Uno scontro il cui clangore e i cui bagliori corruschi hanno riecheggiato in questi giorni in Laguna con la commemorazione de “La Gran Bataja” che domenica 5 ottobre è stata organizzata dall’associazione “Veneto Nostro – Raixe Venete”.
La flotta cristiana della Lega era comandata, divisa per settori, dallo spagnolo don Giovanni d’Austria coadiuvato dal romano Marcantonio Colonna, dai veneziani Sebastiano Venier e Agostino Barbarigo, dal genovese Gianandrea Doria, e con le riserve comandate da Álvaro de Bazán. Contro c’era la flotta del temibile Alì Pascià: 204 galee e 6 galeazze contro 216 galee, 64 galeotte e 64 fuste.
La battaglia iniziò con il Barbarigo che diede filo da torcere al nemico, ma fu ferito alla testa e morì poco dopo. Mentre Alì Pascià cercava la galea di don Giovanni d’Austria per catturarlo, l’equipaggio della toscana “Fiorenza” dell’Ordine di Santo Stefano veniva sterminato tranne il suo comandante e pochi uomini. Nel terrore generale e con il vento a favore e un rumore assordante, i turchi iniziarono l’assalto alle navi cristiane che invece stavano ferme nel più assoluto silenzio. D’improvviso, i cristiani ammainarono le bandiere e Don Giovanni innalzò lo Stendardo di Lepanto con l’immagine del Redentore Crocifisso. Una croce venne levata su ogni galea e i combattenti ricevettero l’assoluzione secondo l’indulgenza concessa da Papa Pio V per la crociata. Fu un miracolo? Forse. Ma sta di fatto che il vento cambiò direzione. Le vele dei turchi si afflosciarono e quelle dei cristiani si gonfiarono. Don Giovanni si scagliò contro la Sultana e la nave ammiraglia turca, assaltata dal reggimento di Sardegna, che si trasformò in un campo di battaglia. Nell’infuriare dello scontro Don Giovanni fu ferito ad una gamba. Dopo vari assalti, le galee toscane Capitana e Grifona riusicrono a sfondare e Alì Pascià, già ferito, fu ucciso. La sua testa, issata sull’albero maestro dell’ammiraglia spagnola, terrorizzò gli avversari che a questo punto sbandarono e, alle quattro del pomeriggio, si ritirarono. Tra relitti in fiamme e una marea di morti e agonizzanti, la flotta cristiana aveva vinto.
In seguito i cristiani liberati dai remi delle navi sbarcarono a Porto Recanati e salirono in processione alla Santa Casa di Loreto dove offrirono le loro catene alla Madonna. Con queste catene furono costruite le cancellate davanti agli altari delle cappelle. I morti cattolici dello scontro furono sepolti nella chiesa dell’Annunziata a Corfù (sarebbero stati spostati dopo il bombardamento del 1943 al cimitero cattolico di Corfù) mentre gli ortodossi furono deposti nella chiesa di S. Nicola nominata “Dei Vechi”. I non nobili ebbero sepoltura in una chiesetta fuori le mura di Corfù che prese il nome “Dei martiri”. I prigioneri ottomani, invece, furono uccisi. La bandiera dell’ammiraglia turca di Alì Pascià, presa dalle galee toscane, fu portata a Pisa nella chiesa dell’Ordine di Santo Stefano, dove si trova tuttora.
Tra gli eroi da ricordare in questi truci eventi, oltre al Colonna, al Venier, a don Giovanni d’Austria, al Doria e a tutti quelli che morirono c’è però anche il condottiero veneziano Marcantonio Bragadin che, nell’agosto 1571 e quindi negli antefatti allo scontro, aveva subito dai turchi il peggiore dei martiri. Fatto il suo ingresso trionfale a Famagosta riconquistata, Lala Mustafà dopo aver passato a fil di spada e decapitato altri nobili veneziani e buona parte della popolazione fece imprigionare il Bragadin sottoponendolo a una serie di atrocissime torture prima di scuoiarlo vivo. La sua pelle, riempita di paglia, fu approntata in un macabro manichino esibito per le vie e infine appeso al pennone di una galea accanto alle teste mozzate degli altri condottieri cristiani. I resti sarebbero stati in seguito portati da Mustafà a Costantinopoli per essere mostrati al sultano e quindi sepolti nel cimitero degli schiavi. Sarebbero stati per fortuna trafugati nel 1580 da un giovane veneziano di nome Polidoro, che li avrebbe riportati in patria per dar loro degna sepoltura. Oggi si trovano a Venezia in un’urna situata all’interno del monumento a Bragadin eretto nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo.
Ricordiamo anche che lo stesso 7 ottobre, ma del 732, il franco Carlo, nonno del futuro Carlo Magno, bloccò (con l’aiuto dei Longobardi) l’invasione islamica che sembrava inarrestabile. L’impresa gli valse il nome di Martello (in francese, Martel) per la furia con la quale, appunto, martellò gli infedeli. Tutti, a cominciare dai contemporanei all’evento, si resero immediatamente conto dell’enorme portata storica dell’episodio di Poitiers. Già l’anonimo cronista di Cordova cui dobbiamo una narrazione dettagliata della battaglia aveva capito che lo scontro ormai non era più tra Arabi e Franchi (o comunque cristiani), ma, più genericamente, tra Islamici ed Europei. Qui per la prima volta si prese coscienza della profonda e irriducibile differenza che esisteva tra due civiltà e due culture contrapposte: non più solo una antitesi tra due religioni diverse, ma un conflitto tra due mondi diversi